martedì 19 maggio 2015

POLITICA E SCUOLA. L. BINI SMAGHI, Il dilemma del merito per la buona scuola, CORRIERE DELLA SERA, 19 maggio 2015

Sono due le soluzioni per aiutare i nostri giovani: o si sostengono le famiglie meno abbienti per l’accesso a corsi di lingue e a istituti privati, oppure si innova davvero il sistema scolastico, mettendo al centro i risultati di professori e studenti


l dibattito sulla riforma della scuola è ben rappresentato dall’affermazione di un docente esponente di Unicobas, riportata su alcuni quotidiani nei giorni scorsi: «La valutazione come accesso a un migliore o peggiore stipendio è inaccettabile. È solo il potere del merito e io rifiuto la logica meritocratica».
In effetti, vari studi mostrano che il merito rappresenta un criterio sempre meno rilevante nella società italiana, in particolare per trovare lavoro, rispetto al ruolo svolto dalle relazioni e dalle conoscenze personali. Se il merito non conta per trovare lavoro, perché dovrebbe contare per valutare gli studenti, e tanto meno i docenti?
È una posizione comprensibile, soprattutto da parte dei docenti, ma anche delle famiglie che dispongono delle relazioni necessarie per consentire ai propri figli di trovare un lavoro una volta finita la scuola, indipendentemente dall’esito. Ma che ne è delle famiglie italiane che non dispongono di sufficienti relazioni o — per chiamarle con il loro nome — raccomandazioni?
Hanno sempre la facoltà di mandare i loro figli a studiare in scuole private, o di mandarli all’estero. Ad esempio, chi desidera che il proprio figlio impari l’inglese e non può ottenerlo nella scuola dell’obbligo perché (solo) in Italia si può insegnare l’inglese senza saperlo parlare, può sempre fargli fare delle ripetizioni private, oppure iscriverlo ad un corso d’estate in Inghilterra (guarda caso già pieno di italiani nella stessa situazione). Dov’è il problema?
Il problema è che non tutte le famiglie se lo possono permettere, perché si tratta di soluzioni molto costose. Il risultato è che le famiglie più abbienti riescono a compensare gli effetti di una scuola che rifiuta la logica meritocratica, pagando di tasca propria per il curriculum extra-scolastico, mentre quelle meno facoltose devono subire le conseguenze di un sistema che risulta essere tra i meno efficienti dei Paesi avanzati, come dimostrano test effettuati da anni. In parole povere, la scuola italiana accentua le disuguaglianze sociali. Non consente peraltro nemmeno nella media di raggiungere standard accettabili, dato che un giovane su due è disoccupato.
Se si ha a cuore il futuro dei giovani, e si vuole dare loro uguali opportunità, indipendentemente dalla situazione economica delle rispettive famiglie, ci sono solo due soluzioni. La prima è quella di accettare la logica anti-meritocrazia nella scuola pubblica, come chiede chi si oppone alla riforma, o chi si trincera dietro la richiesta di far valutare i docenti solo da chi ne ha le capacità (come se la diffusione dei metodi e parametri di valutazione esistenti all’estero non fossero applicabili al nostro Paese — la famosa eccezione italiana!).
In questo caso deve essere data la possibilità anche a chi proviene da famiglie meno abbienti di accedere alle scuole private o a corsi di recupero, attraverso incentivi fiscali o trasferimenti monetari, per poter essere alla pari con chi se lo può permettere.
La seconda soluzione è invece di promuovere una riforma della scuola pubblicaancora più incisiva di quella messa sul tavolo, che ponga veramente al centro il merito, non solo degli studenti ma anche degli insegnanti, con test periodici, rigorosi ed uniformi in tutto il Paese ed incentivi monetari per il corpo insegnante strettamente correlati con i risultati. Come viene fatto nella maggior parte dei Paesi avanzati.
Le due soluzioni non sono necessariamente in contraddizione tra di loro, ma opporsi ad entrambe non fa altro che danneggiare gli studenti, soprattutto quelli delle famiglie meno abbienti.

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